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Breve storia del Movimento degli Uomini Casalinghi (M.U.C.)
Il governo del mondo alle donne, il rigoverno della casa ai maschi

Nel 1975 nacque a Pisa il primo gruppo di maschi italiani ‘casalinghi’, che cioè abbando- navano l’attività sociale per dedicarsi alla cura delle loro compagne impegnate nel lavoro e nella poli- tica, in particolare nel femminismo. Si trattava di maschi che provenivano dall’esperienza del ‘68, ma a differenza di altri che fondarono nuovi partiti, o si diedero alla lotta armata, o si integrarono facendo carriera, o si persero nel tunnel delle tossicodi- pendenze, questi ascoltarono e si confrontarono con il femminismo, arrivando a tale scelta. In un numero della rivista “Effe” quest’esperienza fu documentata, però non ebbe uno sviluppo, molto probabilmente perché i protagonisti furono schiac- ciati dalle critiche provenienti sia dalla cultura tradi- zionalista, che riteneva dei falliti i maschi che non lottavano per affermarsi nella società, sia dalla sini- stra riformista e rivoluzionaria, che considerava una forma di viltà il non dedicarsi alla lotta per migliorare o trasformare la società, e anche dal mondo catto- lico, che credeva nei ruoli sessuali naturali voluti da Dio e che additava invece ai più deboli il modello del servizio. Una critica giunse anche dagli ambiti eco-pacifisti allora nascenti, perché con tale scelta quei maschi si sottraevano all’impegno militare con- tro la guerra e le devastazioni ambientali.

Nemmeno il femminismo prese posizione in pro- posito, a causa della diffidenza delle donne verso i movimenti maschili. Da allora la situazione non è molto cambiata: le critiche che oggi colpiscono chi fa una scelta simile a quella del gruppetto di pionieri di 25 anni fa, sono sempre le stesse e non sono neanche esplicitate, perché l’accudimento non è considerato un gesto politico-culturale, nonostante il femminismo avesse affermato che “il personale è politico”; perciò quell’episodio fu completamente ignorato e né venne preso in considerazione in seguito. Io penso invece che quei maschi avevano visto giusto e avevano colto la radice del problema. Dopo aver cercato invano di riaprire il dialogo sul tema della questione maschile, ricevendo per l’en- nesima volta dalla stampa l’accusa di portare in campo elementi di disturbo che distoglievano ener- gie dalla lotta politica o di minare l’identità maschile, nel 1985 ho fondato a Milano il Movimento degli Uomini Casalinghi (M.U.C.).

Nei primi anni i simpatizzanti (questo Movimento non si è mai trasformato in Associazione per evitare il verificarsi delle solite lotte sotterranee per otte- nere le cariche, ecc.) sono stati occupati nel ri- spondere alle diverse critiche e nel trovare un sen- so, anche politico, alla dimensione dell’agire dome- stico, in particolare interrogandosi sui rapporti uo- mo-donna, adulto-bambino, del maschio col proprio corpo e con la casa, tanto che alla fine furono pro- mossi, insieme con Legambiente, dei corsi di eco- logia domestica e di educazione alla cura.

Nel 1995 è nata la rivista “Donne e Ragazzi Casa- linghi”, che vuole essere un terreno di dialogo (in quel periodo eravamo in quattro in redazione: due donne e due maschi) e riflessione sulla condizione femminile, giovanile e di quei maschi che non si riconoscono nel modello dominante.

Il modello delle società matrilineari Soprattutto abbiamo iniziato la ricerca sulle so- cietà precedenti il patriarcato. Da circa una decina d’anni infatti sono apparsi in Italia molti libri di autorevoli studiose (a partire da Marija Gimbutas con “Il linguaggio della Dea”) che affermano - sulla base di ritrovamenti archeologici, miti, tradizioni etnografiche, ecc. - che per 30-40.000 anni, cioè dalla preistoria fino al neolitico avanzato (circa 5000 anni fa), sono esistite civiltà pacifiche ed evolute, centrate sull’autorità femminile e matrilineare. Per fare qualche esempio, in quelle epoche le relazioni erano vissute come ‘amore itinerante’, ovvero il ma- schio rimaneva a casa dell’amata/amante tutta la notte e al mattino tornava dal ramo materno con il quale viveva; questo accadeva più volte al mese, quindi non quotidianamente o necessariamente: ognuna/o manteneva così i suoi spazi ed eventual- mente si dibatteva anche sul fatto di avere una o più relazioni parallele. In questo modo, l’approccio e la scoperta dell’amore non erano vissuti come una droga o una ‘proprietà’ che determinano l’equilibrio psicofisico della persona, con le morbosità tipiche che ne conseguono.

Inoltre, i bambini/e nati da queste relazioni veni- vano allevati da tutto il clan materno, avendo come riferimento la zia e lo zio (stessa radice di ‘thea’ e ‘theòs’ = dea e dio). La cosa fondamentale è che così il bambino/a viveva un’infanzia non in antago- nismo con la figura maschile paterna, che nel mo- dello patriarcale diventa invece il punto centrale della famiglia a cui bisogna sottostare; inoltre po- teva praticare un’esistenza conviviale e tenera, sen- za i miti del progresso e del danaro. Quindi, secondo questo filone della cultura attu- ale, i maschi erano pacifici - contrariamente all’in- terpretazione ufficiale che li vuole cacciatori, guer- rieri e artefici (‘homo sapiens’ = ‘homo faber’) - e immagino che non disdegnassero le attività di cura svolte in un clima conviviale, né di entrare in rap- porto con bambini/e e con donne anziane, la cui autorevolezza riconoscevano senza problemi. Inol- tre i maschi portatori di handicap erano trattati con riguardo perché considerati, come le donne anzia- ne, più in contatto con il sacro.

Le devastazioni del patriarcato Queste straordinarie civiltà, dove la qualità della vita era notevolmente elevata (si sono trovati i resti di vere e proprie città, di abitazioni confortevoli, di manufatti raffinati, ecc.), furono spazzate via dall’in- vasione di tribù nomadi indoeuropee di maschi cacciatori-guerrieri-pastori, provenienti dalle regioni steppose dell’Asia Centrale, che a diverse ondate si riversarono sulle fertili e prospere aree del Medio Oriente, dell’Egitto e dell’Europa. I bellicosi nuovi arrivati instaurarono delle società in cui le donne venivano stuprate e schiavizzate, in cui la forza e la violenza furono usate per dominare gli altri maschi (risale ad allora la divisione in classi sociali rigida- mente gerarchizzate) e in cui non c’era più posto per maschi gentili e miti, aperti al dialogo e ricono- scenti verso la madre e le donne anziane. Nacquero così i governi autoritari e la famiglia patriarcale (‘pater’ era colui che aveva il potere di vita e di morte su tutti gli altri componenti della famiglia) e nella società si instaurarono gli stessi modelli di comportamento e gli stessi valori della guerra e della caccia (nacque anche lo sport, che nei periodi di pace ‘mimava’ le dinamiche della guerra): la lotta come metodo per la risoluzione dei conflitti, la sopraffazione fisica e psichica, lo svilup- po della razionalità e del protagonismo sociale a danno della sensibilità, della tenerezza e delle rela- zioni significative e profonde con donne e altri ma- schi. Anche la natura, gli animali e il corpo femmi- nile, da espressione di sacralità diventarono prede da dominare, disprezzati e ritenuti impuri, addirittura demonizzati. In particolare il sangue mestruale, pri- ma celebrato come simbolo di generazione della vita, fu considerato immondo e vergognoso, mentre si innalzò agli onori il sangue sparso nelle migliaia di guerre continuamente combattute per conqui- stare territori e stabilire la gerarchia del potere.

Una rivista per non dimenticare La rivista continua a interrogarsi su queste civiltà e argomenti: sono usciti due numeri sulle Amaz- zoni, le uniche donne che tentarono una resistenza contro il dominio patriarcale, che minacciava la loro autorevolezza. Altri numeri sono dedicati alla reli- gione della Grande Dea, espressione della spiritua- lità di quelle antiche società chiamate ‘gilaniche’ (da ‘giné’ = donna e ‘anér’ = maschio), in cui non c’era oppressione, né potere, di un sesso sull’altro. Si trattava di una religione gioiosa e panteista, che celebrava l’amore e la vita come un ciclo ininterrotto di nascita-morte-rigenerazione; anch’essa fu distrut- ta, sebbene se ne possano riscontrare delle tracce in tutte le religioni successive, che però sostituirono alla Dea divinità maschili bellicose e violente.

Chi è un “Ragazzo casalingo”?

Tornando ai giorni nostri, solo grazie ai movimenti giovanili e alle analisi e pratiche del femminismo, si sta delineando da circa trent’anni a questa parte un nuovo tipo di maschio, nel quale rivivono alcune caratteristiche dei maschi delle antiche civiltà gila- niche: noi lo chiamiamo ‘ragazzo casalingo’. ‘Ra- gazzo’ perché non ha sviluppato una razionalità scissa dalla sensibilità, rifiuta la lotta e lo spirito guerriero e non disprezza la donna, anzi la rico- nosce come soggetto autorevole. ‘Casalingo’ per- ché non disdegna le cure domestiche, anzi le ritiene preziose, meglio se svolte a piccoli gruppi in un clima conviviale, superando il rigido modello della famiglia patriarcale, che carica di responsabilità pe- santissime i suoi componenti adulti. Un esempio di ragazzo casalingo è stato John Lennon che, grazie all’incontro e dialogo con Yoko Ono, abbandonò per cinque anni la carriera musi- cale per dedicarsi alla cura di sé, della sua compa- gna e del loro figlio Sean. Da quell’esperienza uscì rigenerato, liberandosi anche dalla tossicodipen- denza, e riscoprì la sua infanzia, ritrovando se stes- so, il suo mondo interiore, la riconoscenza verso la madre e la zia che lo avevano allevato. Da quanto brevemente delineato, emerge che la mascolinità - basata sulla lotta, la competizione, l’attività all’esterno di sé, cioè come viene ufficial- mente intesa e spacciata per naturale - sia in realtà un dato culturale imposto a partire da quelle antiche tribù di cacciatori-guerrieri-pastori. I risultati catasto- fici perdurano fino ad oggi e sono evidenti a tutti: guerre e violenze in ogni parte del mondo, prostitu- zione e stupri, oppressione di donne, giovani, bam- bini, animali e piante, sfruttamento dissennato della natura, disastri ambientali, ecc.

Noi Ragazzi Casalinghi, rifiutando il modello co- munemente proposto e rifacendoci ai maschi paci- fici e giocosi delle società gilaniche, pensiamo che sia possibile vivere un’identità maschile leggera e non rigida, attraverso la cura di sé e di una o più donne, per riconoscenza verso la madre, per amore o amicizia.

Tutto questo è sintetizzato nel nostro motto: “Il governo del mondo alle donne, il rigo- verno della casa ai maschi”.
Gruppo di Vivere con Cura, ottobre 2004

"VIVERE CON CURA" di Emanuela Rodriguez e Antonio D'Andrea
La concezione del mondo del "Movimento degli Uomini Casalinghi" presentata attraverso i colloqui con il fondatore